Il Lichtblick-Kino di Berlino, piccola sala d’essay nella zona di Prenzlauer Berg, riproietta un must-see per tutti gli amanti di Wenders e soprattutto per gli amanti della capitale tedesca, qui mostrata in un bianco e nero (quasi sempre…) che fa risaltare il suo fascino in maniera misteriosa e malinconica, così come le ferite di una guerra non ancora dimenticata e che ancora sanguinano dai palazzi fatiscenti.
Si parla proprio de Il Cielo Sopra Berlino, che traduce alla lettera il titolo tedesco e meglio rende rispetto all’inglese Wings of Desire.
Il capolavoro del 1987, vincitore del Premio Miglior Regia al 40esimo Festival di Cannes, ha infatti come protagonista Damiel, un angelo sceso dal cielo insieme al compagno Cassiel per vagare invisibile per le vie della Berlino Ovest e ascoltare i pensieri degli umani, accompagnarli in silenzio, custodire i loro segreti e cullare il loro animo come unico modo possibile per alleviare i loro dolori. La straordinaria performance di Bruno Ganz si unisce a quella di Solvig Dommartin, che interpreta la giovane trapezista di cui l’angelo custode si innamora, decidendo di rimanere tra gli umani per poter esperire con la carne e le ossa quello che loro provano: finalmente i colori (il film infatti alterna bianco e nero con i colori), i sapori, il freddo, ma soprattutto il contatto fisico con l’altro, con lei.
Un film fatto di parole, dall’Elogio all’Infanzia dell'austriaco Handke che apre il film (‘Quando il bambino era bambino…’) al fluire dei ragionamenti degli abitanti della città. Ma è allo stesso tempo un film fatto di atmosfera, di musiche contrastanti che vanno dalla dolcezza di strumenti a corda (si riconoscono arpa e violoncello) ai rumori stridenti della metropoli, ai concerti di Nick Cave nello stesso luogo in cui infine i due amanti spirituali entreranno in contatto per la prima volta, ora che Damiel è anche carne.
Un film che non smette mai di travolgere ogni parte del nostro essere. Un film da vedere con il cervello, con il cuore, con le viscere e della cui esistenza non possiamo che essere grati.
Da rivedere, e rivedere, e rivedere...
scritto da Bianca Montanaro