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Léa Seydoux e Vincent Cassel in “La bella e la bestia”
FILM 25/02/2014

Colori sbiaditi e lacune nella trama. Portato fuori concorso a Berlino il remake del regista francese tenta di andare oltre, ma non convince


Colori sfuocati, poche trovate scenografiche e una fotografia che non regala niente di entusiasmante. A otto anni di distanza dal suo ultimo lavoro, “Silent Hill” 2006, il regista francese Christophe Gans torna dietro la macchina da presa con il nuovo rifacimento de “La bella e la bestia”, presentato fuori concorso al festival del cinema di Berlino. Un remake di cui, forse, si poteva fare tranquillamente a meno. La fiaba è nota. È quella resa celebre dal film di animazione prodotto e distribuito dalla Walt Disney nel 1991 – Miglior colonna sonora e Miglior canzone agli Oscar del 1992. Belle, una giovane dalla straordinaria bellezza, dopo varie vicissitudini che non stiamo qui a elencare, si ritrova prigioniera dentro un grande castello incantato, governato da una bestia. Il “mostro”, in realtà, è un principe vittima di un sortilegio, che si spezzerà solo quando una bella fanciulla gli avrà dichiarato amore eterno. Se può sembrare inusuale che una donna riesca ad amare una bestia che non conosce le buone maniere, ci stiamo dimenticando che si sta parlando di una fiaba. E tutte le fiabe terminano con un happy ending: Belle inizia a guardare oltre il mostruoso aspetto fisico del suo carceriere, gli dichiara amore eterno, l’incantesimo che avvolge il castello si spezza, la bestia torna a essere il bel principe che era e, come sempre nelle favole, tutti “vissero felici e contenti”. Andiamo ora indietro, prima del film d’animazione Disney. Molti non conosceranno la trasposizione cinematografica di Jean Cocteau (“La belle et la bête”, 1946), o il racconto di Madame de Villeneuve, che a sua volta attinge dalla mitologia greco-latina, in particolar modo da “Le metamorfosi” di Ovidio. Con la sua versione, Gans ha deciso di andare oltre il semplice remake del film del ’46: ripristina la figura del mercante padre di Belle (che perde tutte le sue fortune per mare e si trasferisce insieme alla famiglia in campagna), il ruolo delle due sorelle, tanto superficiali quanto comico-grottesche, e l’origine della maledizione, aspetti che Cocteau non aveva tenuto in considerazione. Gans tenta quindi di colmare i vuoti del passato, ma senza riuscirci. Perché anche lui, di vuoti, ne lascia eccome, facendo di questa nuova trasposizione un film fiacco e privo di spessore. Una questione su tutte. Il regista sviluppa una storia d’amore troppo sterile e ben poco profonda. Come fa Belle a innamorarsi così facilmente della bestia? La risposta è semplice: troppe lacune nel plot. L’interpretazione della ragazza dai capelli blu de “La vie d’Adele” (Léa Seydoux), in versione principessa, non ha di che dire. La bestia, al contrario, tanto bestia non è. Sotto il suo manto di pelo, conserva i visibili tratti di Vincent Cassel. Tra i vari personaggi, inoltre, la trama è arricchita da una fata dei boschi (ex compagna morta del principe) che fa sognare a Belle, tutte le notti, l’aspetto umano del suo carceriere. Insomma, dopo aver dormito con l’affasciante immagine di Vincent Cassel nella mente, l’amore della giovane donzella è quanto mai scontato.


scritto da Eleonora Tesconi